Incontro del Consiglio Pastorale
Giovedì 23 dicembre 2018 ore 21.00 in oratorio
Siamo autorizzati a pensare
Ha detto l’Arcivescovo nel discorso di S. Ambrogio alla città: Siamo autorizzati a pensare: è questa la sostanza della riflessione che mi permetto di offrire alla città in occasione della festa del patrono S.Ambrogio. È questo il percorso promettente che mi dichiaro disponibile a continuare insieme con tutti coloro che abitano la città e ne desiderano il bene. Siamo autorizzati anche a penare.
Vogliamo raccogliere questo invito dell’Arcivescovo.
Il Consiglio Pastorale è il luogo nel quale cercare di pensare la comunità cristiana.
Non è un lavoro astratto, perché pensare la comunità è un lavoro molto concreto.|
Vogliamo riflettere e pensare la nostra comunità prendendo come punto di riferimento la lettera pastorale dell’Arcivescovo che abbiamo dato la volta scorsa.:
Cresce lungo il cammino il suo vigore.
Il popolo in cammino verso la città santa, la nuova Gerusalemme
1. Siamo un popolo in cammino
Non ci siamo assestati tra le mura della città, che gli ingenui ritengono rassicurante, nella dimora che solo la miopia può ritenere definitiva: “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” ( Eb. 13,14)
La solida roccia che sostiene la casa e consente di sfidare le tempeste della storia non è una condizione statica che trattiene, ma una relazione fedele che accompagna, incoraggia e sostiene nel cammino fino ai cieli nuovi e alla terra nuova…..
Proprio l’indole escatologica del pellegrinare della Chiesa è il motivo che consente di pensare e praticare con coraggio un inesausto rinnovamento/riforma della Chiesa stessa…
Viviamo pellegrini nel deserto. Non siamo i padroni orgogliosi di una proprietà definitiva, siamo piuttosto un popolo in cammino nella proprietà nomade…..
Siamo pellegrini che percorrono vie faticose, ma promettenti, in un’unica carovana, formata da molte genti, da molte storie, da molte attese, non senza ferite, non senza zavorre.
La Chiesa si riconosce “dalle genti” non solo perché prende coscienza della mobilità umana, ma, in primo luogo, perché docile allo Spirito, sperimenta che non si dà cammino del Popolo di Dio verso il monte dell’Alleanza piena se non dove, nel camminare insieme verso la medesima meta, si apprende a camminare gli uni verso gli altri.
L’incontro, l’ascolto, la condivisione permettono di valorizzare le differenze, lo specifico di ciascuno, impongono di riconoscere i doni ricevuti dalla tradizione di ciascuno.
Il convenire di genti apre a leggere meglio il Vangelo…
Non si può immaginare che il popolo in cammino viva di nostalgia e si ammali di risentimento e di rivendicazioni…
Dobbiamo farci compagni di cammino di fratelli e sorelle che incontriamo ogni giorno nella vita …
La sfida tipica di ogni cammino è procedere con lo sguardo che contempla la bellezza, lo splendore di Gesù e, al tempo stesso con i piedi per terra. Quindi mettendo in conto di dover affrontare anche le pesantezze, le fatiche, le precarietà, le fragilità, le indolenze, anche i peccati che marcano il cammino di una comunità, senza che questo diventi occasione d lamento sterile e inconcludente. (pag. 6.7.8.9)
2. Siamo una Chiesa in cammino nella storia di oggi.
È necessario prendere coscienza del contesto nel quale viviamo senza farci illusioni, ma anche senza lamentarci in continuazione.
Cerchiamo di mettere a fuoco due sguardi.
1) Partiamo da uno sguardo alla vita della nostra comunità.
Per quanto riguarda la proposta che la nostra comunità fa a tutti, oggi, si ha l’impressione che fatica ad essere accolta. Alle energie che si spendono non sempre seguono risultati.
I numeri sono sempre molto piccoli: la Messa della domenica è ordinariamente trascurata, i Sacramenti, come la Confessione, non è presa in considerazione, dopo la Cresima c’è normalmente una fuga, a livello adolescenti il numero è piccolissimo …. Soprattutto mancano i genitori ….e così potremmo continuare
Il Card. Martini nella sua lettera pastorale “Itinerari educativi”, (già nel 1988) parlava di fallimenti educativi.
Diceva: E’ bene dire subito che non ho ricette educative, perché se le avessi le avrei comunicate subito fin dal primo giorno… Dirò, anzi di più: neppure Gesù possedeva tali ricette.
Altrimenti non sarebbe stato tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, abbandonato dagli altri apostoli, insultato dalla folla che aveva beneficato e della quale era stato catechista instancabile e competente.
Di questa situazione è necessario prendere coscienza.
Questa situazione va letta, occorre farne oggetto del nostro pensare.
2) Uno sguardo al contesto con il quale la proposta cristiana ha a che fare, oggi
Offro qualche spunto di don Pierangelo Sequeri che commenta il discorso dell’Arcivescovo.
Sono spunti su cui riflettere e da approfondire.
Il contesto nel quale viviamo appare sempre di più come una fabbrica di massificazione e di indifferenza, che rende la convivenza insopportabile: facile all’isteria, arrendevole alla prepotenza.
Per ritrovare la gioia del vivere insieme, dobbiamo ridiventare più riflessivi.
Soprattutto dobbiamo fare del bene comune l’oggetto dei nostri pensieri migliori, dei nostri scambi più appassionati, dei nostri progetti più ambiziosi.
In altri termini dobbiamo prendere le distanze dagli estremismi….
La questione seria che sta al centro di tutte le diagnosi negative sull’individualismo è il vuoto d’amore e di sacrificio per la comunità.
Occorre ritrovare il coraggio di pensare, dice l’Arcivescovo.
Pensare è indispensabile per essere più umani.
Sapere è una condizione necessaria, ma non sufficiente…. ( pensiamo al sapere delle macchine degli algoritmi; di robot …)- Pensare è lo stile umano inconfondibile dell’interiorità… solo la circolazione della riflessività umana è capace di trasformare la convivenza in un piacere spirituale ….
Occorre ricostruire questo ragionevole affetto per il bene comune….per il bene della comunità …
3. Quali passi fare per pensare la nostra comunità?
Come Consiglio Pastorale potremmo percorrere i seguenti passi
1) Il passo dell’ascolto.
Mettersi in ascolto della situazione di oggi; del modo di vivere, di pensare, di credere, di amare.
Non dare giudizi affrettati né in bene, né in male …., ma mettersi in ascolto, cercare di leggere in profondità la situazione di oggi per capire perché si vive in questo modo; che cosa effettivamente oggi si cerca, in quali valori si crede….. come mai c’è indifferenza ….
L’altro va incontrato, conosciuto, ascoltato
L’altro conta, qualsiasi altro deve contare..
Occorre entrare in relazione con l’altro, incontrarlo senza pregiudizi.
Il punto di partenza per entrare in relazione è coltivare un atteggiamento di povertà che ci rende capaci di condividere la situazione dell’altro
La comunità che vuole coltivare relazioni deve essere una comunità povera che cerca di condividere la situazione dell’altro La povertà del cuore diventa condizione privilegiata per coltivare relazioni.
Da poveri si incontrano le persone e si incontrano proprio là dove si condivide la loro vita.
2) Il passo dello scoprire il di più della vita dell’altro.
L’incontro con l’altro deve condurre a scoprire il di più della vita.
E’ necessario avvertire che anche nei bisogni più immediati e terreni si nascondono bisogni più grandi.
Entrare in relazione significa entrare nella complessa struttura dei desideri che abitano nell’uomo, aprire un varco e scoprire il di più della vita.
Occorrono relazioni gratuite e liberanti che portino alla luce il desiderio più profondo e riaccendono una speranza più grande…
3) Il passo di riaprire il cuore alla fiducia, alla gioia di vivere, di appartenere a una comunità.
E’ necessario imparare a camminare a fianco delle persone.
Camminare nelle relazioni non chiede di esprimere giudizi, né di fare del moralismo, né avere la pretesa di aggiustare le cose che sembrano sbagliate, ma chiede soprattutto la pazienza e la forza del perdono, la capacità di ricucire, riscattare, ricominciare…...Se prevale l’approccio moralistico diventa impossibile essere vicino alle persone, stabilire relazioni, costruire una comunità ….
E’ necessario nella comunità dare molta fiducia , lasciando molta libertà perché ognuno possa riaprire il suo cuore. La comunità è chiamata a coltivare rapporti veri e significativi.
Occorre essere consapevoli che molti rapporti saranno coltivati apparentemente senza cogliere frutti immediati. Non bisogna scoraggiarsi. La comunità cristiana è chiamata a seminare. .
Nelle relazioni, come nella vita, non si possono programmare i risultati.
Oggi viviamo in un assillo efficientista, vogliamo vedere subito i risultati.
Le relazioni vere non sopportano questa fretta e questi ritmi.
Le relazioni non si programmano, si accolgono, si attendono, si cercano, se ne prende cura…
Qui ci fermiamo per pensare insieme sulla situazione in cui ci troviamo.
Continueremo il discorso per vedere come la comunità cristiana deve utilizzare quei mezzi che il Signore le ha affidato: come annunciare la Parola oggi? Come celebrare l’Eucaristia, oggi? Come vivere la carità oggi?