28 febbraio 2019
Educare è compito di tutta la comunità
La tematica dell’educare è oggi molto urgente, ci interroga.
È una tematica che la nostra comunità deve avere molto a cuore-
È una tematica che non può mai essere data come scontata.
È una tematica attorno alla quale è necessario coinvolgere tutta la comunità.
È necessario ripensare alla nostra comunità partendo dalla preoccupazione educativa.
Ci sono alcune domande alle quali è necessario cercare di rispondere:
1) quale volto la nostra comunità parrocchiale deve avere per essere una comunità che educa?
2) Come coinvolgere e rendere prioritario nella parrocchia l’attenzione educativa perché diventi mentalità condivisa, clima che si respira?
3) Come l’oratorio può diventare, oggi, il luogo capace di rendere efficace l’attenzione educativa della parrocchia?
4) Che proposte fare? Quale stile coltivare? Quali esperienze proporre?
È necessario dire subito che non partiamo da zero: abbiamo una storia bella da rileggere, da riascoltare
È necessario fare come lo scriba del Vangelo divenuto discepolo che sa estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13, 51-52).
È necessario riprendere sempre alcuni pensieri e riflessioni che ci hanno guidato in questi anni, quasi per respirarli di nuovo, per riappropriarcene, perché sono un patrimonio prezioso della nostra parrocchia; per verificare e rimotivare quello che stiamo facendo.
In questo lavoro possiamo farci aiutare da due immagini evangeliche:
il piccolo seme e il grande albero
Dal Vangelo di Matteo 13, 31-32:
Gesù raccontò una parabola: Il Regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto: diventa un albero tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido tra i suoi rami
È la comunità che educa il piccolo seme e il grande albero della parabola.
La comunità che educa è un piccolo seme,
il più piccolo di tutti i semi
1) È un piccolo seme perché oggi, l’impegno e la fatica quotidiana della comunità di educare sono considerati irrilevanti, perdenti di fronte alla logica dominante; non sono tenute in considerazione, non trovano spazio, accoglienza, ascolto, tempo… non è ciò che più preoccupa la gente.
Ben altre cose contano; per ben altre cose si impegna la vita e si dedica tempo., non a educare
Molti educatori si sentono sviliti, contestati e bocciati.
I tempi sono cambiati è cambiata la società: vengono proposti valori nuovi e disprezzati quelli vecchi…. Si insegna più facilmente ad occupare i primi posti, a guadagnare di più, a essere più spettacolari degli altri, piuttosto che a considerare gli altri parte essenziale e integrante del proprio cammino.
La pressione sociale spinge a fare del proprio figlio e della propria figlia personaggi di spicco, atleti, uomo e donna di successo, competitivi nella società del benessere. E ci si dimentica di aiutarli ad acquisire le virtù che li rendono veramente umani: la lealtà, l’onestà, la giustizia, la fede, la sobrietà, la fortezza, la bontà. (Martini, Dio educa il suo popolo, DESP, n. 23)
2) È un piccolo seme perché, oggi, conta l’efficienza, il successo; vale ciò che appare; l’importante è l’immagine; si vuole tutto subito, …
Non si sopporta il silenzio; c’è molta superficialità; non si affronta la fatica del pensare, dell’andare in profondità, del distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario;
La comunità che educa segue, invece, la logica del seme; ha la pazienza del contadino che getta con abbondanza il seme e non si stanca di attendere, perché è sicuro che il seme cresce e diventa un grande albero….
Il Papa afferma la superiorità del tempo sullo spazio.: questo dice l’importanza di iniziare processi più che possedere degli spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce (Evangelii gaudium 223)|
Cercare processi è urgente per restituire all’esperienza cristiana la sua destinazione a tutti
Volevo far progredire la storia un po’ come un bambino che si mette a tirare una pianta per farla crescere in fretta. Credo che bisogna imparare ad aspettare così come si impara a creare.
Seminare pazientemente il grano, annaffiare assiduamente la terra che lo ricopre e concedere alle piante i loro tempi. Non si può ingannare una pianta come non si può ingannare la storia, ma si può annaffiare, pazientemente, tutti i giorni, con comprensione, con umiltà e anche con amore….
Non c’è nessuna ragione per essere impazienti se si è seminato e annaffiato bene. Basta comprendere che la nostra attesa non è priva di senso. È un’attesa che ha senso perché nasce dalla speranza e non dalla disperazione, dalla fede e non dalla sfiducia, dall’umiltà davanti ai tempi di questo mondo e non dalla paura…
Un’attesa del genere è qualcosa di più che stare semplicemente ad aspettare. È la vita in quanto partecipazione gioiosa al miracolo dell’Essere. (Vaclav Havel, 1992)
3) È un piccolo seme perché oggi non si crede che la vita quotidiana è ricca di opportunità, che le tante occasioni normali, umili e quotidiane che formano il tessuto abituale della vita hanno un valore decisivo.
Si vive nell’affanno, sempre di corsa, alla ricerca di continue emozioni che non appagano, ma disperdono e fanno evadere dalla propria realtà quotidiana. Si ha paura a fermarsi, riflettere, ascoltare, domandarsi il perché della vita.
La comunità che educa sa che la vita si gioca nella realtà quotidiana, che è decisivo il tempo presente e cerca di cogliere tutte le occasioni, anche quelle che sembrano le più insignificanti, anche quelle dolorose, per dare un senso alla vita e renderla degna di essere vissuta…
L’impulso a fuggire il tempo che passa è forte: si vive spesso in una specie di piacevole stordimento e così si neutralizza il peso del tempo in cui siamo costretti a riflettere, a decidere, a portare responsabilità….
Dobbiamo, invece, abituarci all’idea che il Signore viene a bussare alla porta della nostra vita, viene ad incontrarci nei luoghi e nei tempi della nostra esistenza quotidiana…perché vuole essere accolto e perché vuole farci partecipi del suo tempo, della sua vita, della sua eternità. (Martini, Sto alla porta, n. 6. 10, 1992)
4) È un piccolo seme perché oggi, l’individuo ha creato il culto di se stesso, il più delle volte non sente il bisogno della comunità, anzi si nega alla comunità: E’ più consapevole dei suoi diritti, più pronto a difenderli, talora a scapito dei doveri; rivendica con forza la libertà di decidere da solo ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato; vive rapporti con l’altro spinto spesso da motivi di convenienza per ottenere consenso, o potere; ha spesso paura dell’altro, del diverso da sé….
La comunità che educa sottolinea, invece, come fondamentale, per vivere nella libertà, la dimensione comunitaria della vita; custodisce la diversità dell’altro perché permette di conoscere meglio la propria e ricorda che l’altro non è un limite al proprio essere, ma la soglia dove si incomincia veramente ad esistere.
Noi siamo volti rivolti: se un volto non è rivolto verso l’altro, non è più un volto. Noi dobbiamo vivere l’uno per l’altro, essere volto rivolto all’altro, volto che si rapporta all’altro… Noi dobbiamo dire: il tuo volto fratello io cerco, fammi scoprire il tuo volto, non la tua maschera. Vivere l’uno per l’altro, per vivere. … L’altro è un
volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare. (T. Bello)
5) È un piccolo seme perché la comunità che educa ha nel suo cuore soprattutto i piccoli. Per la comunità che educa contano di più quelli che contano di meno agli occhi del mondo. Il più piccolo non solo è il più grande, ma anche il più difeso. Il più debole e il più umile sono da onorare e proteggere.
La comunità che educa promuove dignità e giustizia per i più poveri, tra i quali ci sono i non educati, poveri, talvolta poverissimi di educazione umana e cristiana. ( Martini, messaggio agli oratori, 1998)
6) È un piccolo seme perché la comunità che educa, oggi, è chiamata a lottare contro l’apatia che è l’avversario più terribile dell’impegno educativo, l’avversario che scoraggia di più e fa cadere le braccia, che rischia di sgonfiare anche gli entusiasmi più veri.
Voi sapete che il più grande nemico dell’impegno educativo è l’apatia di tanti ragazzi e ragazze, la non voglia, la mancanza di curiosità, di stimoli, di ideali; è quella forma di indifferenza che si crea quando si ha tutto, quando si crede di possedere e di poter permettersi tutto, di poter concedersi tutto….allora viene meno ogni ansia, ogni inquietudine, ogni desiderio, ogni slancio. È la malattia più terribile, il veleno più potente, la confusione delle lingue più grande. L’apatia, l’indifferenza è il demonio più spietato che fa dire: “non mi va, non ci sto, non mi sento”, non ho voglia. ( Martini, agli educatori, 1996)
7) È un piccolo seme perché la comunità che educa è come voce di uno che grida nel deserto; è voce soffocata dai rumori, dal chiasso, dal multiloquio mondano, superficiale e banale; è voce aggredita da orde di parole, di suoni, di clamori che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte…
Oggi la comunità che educa è chiamata a lottare per assicurare a ciascuno quegli spazi di silenzio che permettono di mettersi davvero in ascolto di sé stessi, dell’altro, di Dio…
Chi siede nel deserto e si preoccupa della quiete del proprio cuore è dispensato da tre battaglie: con l’udito, con la parola, con la vista. Gliene rimane soltanto una da combattere: quella con il suo cuore. (S. Antonio)
È un piccolo seme…. (potremmo continuare…).
1) Rileggiamo con attenzione queste note: possono essere un punto di riferimento per la nostra comunità che sente l’impegno di educare come prioritario
2) Domandiamoci che cosa ci sembra importante evidenziare perché la nostra comunità sia una comunità che educa ?
La prossima vedremo la comunità che educa è il grande albero